L'esordio de "Il meglio che possa capitare ad una brioche" fa sbellicare dalle risate.
Il protagonista viene coinvolto in una faccenda strana e misteriosa che cerca di risolvere tra una birra e l'altra, una prostituta e l'altra, un'overdose di tv e cibo ipercalorico e l'altra.
La parte finale invece è deludente, la trama si attorciglia su sè stessa e cade in un buco.
Il luogo segreto dove viene rinchiuso il protagonista con il fratello, sede di una sorta di setta o confraternita, non convince: se dev'essere una metaforica critica alla società l'accettiamo con riserva.
Il punto è che il protagonista, figlio di un magnate della finanza spagnola, che fa l'alternativo scazzato con il culo degli altri, non può venire a raccontarci come vivere al meglio in una condizione di nichilismo, misoginia, dipendenza da cannabis, leggerezza nell'animo e pesantezza del corpo.
Inoltre mi ricorda i classici film italiani dove i soliti uomini sfigati e bruttini, vedi Pieraccioni, Boldi, Calà e altri mille, vanno sempre a finire con delle super fighe oppure hanno delle botte di culo, ecco, questa non è la regola.
A parte questa critica non oggetiiva (talvolta mi rendo conto di avere dei pregiudizi nei confronti dei ricchi che fanno i poveri, ma forse si tratta do invidia), il romanzo resta molto divertente, ci sono delle parti che rileggerei ora per farmi una risata.
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