Potrei vivere in Inghilterra per altri cinque, dieci, venti anni, un dettaglio resterà comunque inalterato: l'accento italiano.
Tutto nacque il giorno in cui notai che tutti gli italiani che cercavano di imparare la lingua inglese imitandone l'accento suonavano ridicoli e pretenziosi. Sopratutto se si trattava di principianti.
Decisi di non voler divenire oggetto di scherno.
Avrei imparato i vocaboli e la pronuncia della lingua, ma avrei mantenuto l'accento italiano.
Anni dopo diverse vacanze studio in territorio anglosassone mi portarono a rinforzare la decisione.
Gli abitanti del luogo, sopratutto di sesso maschile, adoravano l'accento italiano: un successone.
Eccomi qui, vent'anni dopo.
Residente in terra d'Albione da cinque anni e giornalmente sottoposta a domande sulla mia provenienza non appena apro bocca.
Soltanto che quando parlo velocemente l'accento è così pronunciato che a volte gli autoctoni mi chiedono di ripetere le parole in inglese.
Parlo velocemente perché penso sempre di annoiare la gente.
Inoltre, come in italiano, non finisco le parole e le frasi.
Recentemente ho avuto una rivelazione: si trattava di una mia paranoia.
Gli inglesi ripetono le stesse cose all'infinito, sopratutto dopo un paio di bicchieri, e le parole che mi escono di bocca sono, se non interessanti, per lo meno divertenti.
Ecco, il segreto sta nel rallentare quando parlo, nel pesare ogni parola, respirare per bene.
Niente a che fare con l'accento.
E poi mi sembra di perdere un pezzo di identità.
Quindi non mi smuovo, mi tengo l'accento.
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