Wednesday, February 25, 2015

La persecuzione di Fabio Volo



Mi sono trattenuta a lungo, fino a che ieri mi è caduto l'occhio su un articolo di gossip, la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Questo è troppo.

A diciott'anni mi sono trasferita a Londra per un anno, dopo le superiori. 
Ufficialmente per imparare l'inglese, realmente per ubriacarmi di libertà.
Così mi è capitato di conoscere Fabio Volo, per caso, insieme alla mia amica Franci fuori da un locale. 
Mi pare lavasse piatti o facesse il cameriere, come noi.
Ad un certo punto disse che lavorava o aveva lavorato a Radio Dj.
"Si, va bhè!" gli avevo risposto io "e io alla BBC". 
Ci eravamo visti un paio di volte e devo ammettere che ci siamo divertiti. È un tipo divertente.
Mi aveva presentato uno svedese algido e bellissimo che avevo cercato di accalappiare con scarsi risultati.

Ho rivisto Fabio Volo non ricordo dove, quando lavorava per Match TV, e si era ricordato di me. Ora non si ricorderebbe, è passato troppo tempo e lui è diventato famoso.

E poi l'ho visto in tele. Ho letto un suo libro del quale non ricordo il titolo e non mi è piaciuto. Però ho capito perché vende, perché piace. È una persona piacevole.

Credo sia anche un po' paraculo. O meglio lo sarà stato all'occorrenza, ora non ne ha più bisogno.

Abbiamo riferimenti culturali in comune. Per esempio le sue playlist sono quelle che farei anche io.

Con alcune amiche scherzando dichiariamo di odiarlo perché è riuscito a diventare famoso e ricco facendo quello che noi tutte sognamo di fare: scrivere, viaggiare, parlare in radio e scrivere playlist.
Non ha nemmeno fatto l'università. Nemmeno le superiori forse.
Certa gente, certa gente. Forse semplicemente ci crede.
Sarà perché hanno le idee chiare, visualizzano la meta.
Serve anche un pò di culo.
Mi piace pensare che non si tratti di bravura, così non mi sento da meno.

Va bene tutto, ma oggi una goccia ha fatto traboccare il vaso.
Fabio Volo ha chiamato il figlio Sebastian.
Fabio Volo, il mio però è nato prima.
Ti mando una pernacchia.
Tiè!






Saturday, February 21, 2015

Vite cimiteriali



Abito nella regione meno popolata di Inghilterra.
La densità abitativa è bassa, sono rare le conversazioni con sconosciuti, non ho mai parlato con i vicini.
Abito in un cimitero.
Non in senso metaforico.
Abito veramente in un cimitero.

Quando ricevo visite, sopratutto dall'Italia, mi rendo conto della stranezza della mia scelta abitativa.
Non abito vicino ad un cimitero, ci abito dentro.
È stata una settimana da me un'amica italiana che vive nel centro storico di Barcellona e me lo ha ricordato.
Vedo tombe al posto di un giardino. Non è normale.
Il cancello del nostro ingresso lo chiude il custode del cimitero al tramonto e lo riapre al mattino.

La mia amica gestisce un bar frequentato da artisti, astrologi e girovaghi.
Ogni settimana va a feste, eventi e mostre.
Abitavamo insieme all'università.

Le nostre vite sono completamente diverse ora.
Io abito in un cimitero e l'ultima volta che sono uscita la sera non me la ricordo.
Lei esce tutte le sere ed ogni giorno conosce persone nuove.
La ruota della vita gira e cambia costantemente quello che abbiamo fuori e dentro, magari presto desidererò ancora una vita più sociale.
Scrivo ancora perché fino a cinque anni fa ero sociale sino alla nausea.

Al momento se devo proprio dirla tutta sono felice qui, tra le tombe.
Ebbene sì.