Monday, August 14, 2023

Intelligenza Artificiale

Dobbiamo temere l'intelligenza artificiale?

La rivoluzione industriale ha senza dubbio causato simili momenti di panico e continua ad alimentarli poiché si è tutt'altro che conclusa.

Dai primi macchinari ad acqua e vapore del 1800, si è passati alla seconda fase, nel diciannovesimo secolo, in cui l'utilizzo dell'elettricità e del petrolio snellì e velocizzò ulteriormente la produzione.

Con l'avvento dei computer si è parlato di una terza rivoluzione industriale, alla fine del secolo scorso, con conseguenze di ulteriore automatizzazione della produzione.

Non ci scordiamo della quarta rivoluzione, tuttora in corso, con l'intelligenza delle cose, macchinari che interconnessi richiedono un quasi nullo coinvolgimento dell'uomo.

Naturalmente nelle classi artigiane e operaie le varie fasi della rivoluzione industriale hanno creato scontento e resistenza, ogni fase ha realmente portato via il lavoro alle persone, essendo i processi sempre più automatizzati.

Spesso non c'è alternativa al lavoro manuale per i cittadini o di questo sono convinti, per vari motivi, primo responsabile tra tutti un sistema che non prepara a posizioni alternative.

Dopo aver quasi eliminato l'esigenza del lavoro materiale con la rivoluzione industriale ora arriva l'intelligenza artificiale e ci porta via anche il lavoro intellettuale.

Perché di quello si tratta.

Non ho alcuna idea dei tecnicismi e non capisco nulla di programmazione e di informatica, ma conosco l'animo umano a sufficienza, quanto basta per dormire sonni tranquilli e non disperare pensando all'IA che diventa il male per eccellenza e distrugge il genere umano.

L'intelligenza artificiale rappresenta un aiuto incredibile, ma dal mero punto di vista linguistico e strutturale.

Gli algoritmi permettono a questo sofisticato prodotto dell'ingegno umano di predire le sequenze di parole più adatte a meglio svolgere compiti, esprimere concetti, rispondere a domande, motivare scelte, spiegare fenomeni, fare ricerche e simili.

L'intelligenza artificiale però non ha scopi ne' obiettivi, incluso quello di annientare la popolazione o dominarla.

E' stata esposta a innumerevoli incastri, sequenze e motivi, ma si nutre della nostra conoscenza, non può fare nulla di sua iniziativa, non possiede una conoscenza o una consapevolezza.

Temiamo che ci rubi il lavoro intellettuale perché oggi più che mai, come uomini moderni, ci identifichiamo con il pensiero, pensiamo di esistere in quanto pensanti.

Ecco la ragione del panico.

Molti lavori, specchio della società, sono basati sull'intelletto, sulla razionalità; quindi se Chat GPT o  altri software simili ci rubano l'esercizio intellettuale, cosa rimane?

Se tolgo il pensiero, cosa rimane all'uomo?

Benvenuti nell'era del risveglio spirituale. 

Ecco cosa rimane.

Saturday, April 22, 2023

Maiali Schifosi.

 Schifosi maiali,

avete rovinato la danza di moltitudini di creature,

il volteggio di anime leggere,

con i vostri occhi di sudicio fango.


Brutti maiali schifosi

avete schiacciato i sogni di arti leggeri

e l'oscillare di fianchi sottili

con le vostre mani livide.


Ripugnanti maiali

che con i vostri pensieri viscidi avete 

spezzato ali.

Proprio voi.


Andate dai padri, 

e dai padri dei vostri padri,

e dai padri di quelli.

Andate ancora più indietro

e restateci.

Tornatevene a casa e 

che siate cancellati dai libri di storia.


Provo compassione, 

ma andatevene.

Qui regna solo gentilezza 

non c'è posto per voi,

maiali schifosi.

Thursday, April 13, 2023

Ho scampato un funerale

Funerale Scampato



Ho scampato un funerale per poco, di doverlo organizzare intendo. Non sarei stata la salma.

A volte una farfalla sbatte un'ala nella foresta amazzonica, una cellula si sposta e un funerale si rimanda.

In sogno il subconscio, o qualche palude che contengo, mi rammenta che le persone che incrocio quotidianamente non sono schematicamente buone, esiste una complessità che anche io abbraccio, nessuno si salva. 

Si salvi chi può.

Scava e scava, i significati bisogna inventarseli.

Mi tocca fabbricarli e venderli o qui…

Chi ci crede più al fatto che Maria era Vergine?

Ai pesci moltiplicati?

Il Dalai Lama chiede a un bambino di succhiargli la lingua.

Mi tocca fabbricare sogni e venderli a qui chi rimane vivo?

Altrimenti i più consapevoli se ne vogliono andare dal mondo.

Lasciatemi mentire. 

O meglio lasciatemi costruire significati che diventano ancore.

La certezza dell'eternità la conosco, ma per spiegarla mi tocca mentire.

Thursday, December 29, 2022

Vigilia di Natale e Steve.







La vigilia di Natale ho incontrato un certo Steven fuori dalla Chiesa anglicana.

Eravamo andati ad accendere una candela e fuori dalla Chiesa c'era quest'uomo. 

Ci ha augurato un buon Natale quando siamo entrati e quando siamo usciti mi ha detto di non avere una coperta. Gli ho promesso che gli avrei portato una coperta.

"E del cibo" ha aggiunto "ho una fame della miseria".

"Metti tutto in un sacco e lasciamelo fuori dai bagni pubblici e che Dio ti benedica".

"E soldi" ha aggiunto.

"Vedo quello che posso fare", ho detto io. "Certo un coperta e del cibo te li porto".

"Che Dio ti benedica" mi ha detto. "Di dove sei?"

"Italiana" dico.

"Turin?"

"Proprio Turin, guarda un po'"

"Mi piace l'Italia" dice "sono stato a Torino".

Steven ha l'accento irlandese.

"Sono appena uscito di prigione e non so dove andare".

Gli ho portato un sacco e l'ho lasciato dove ha detto.

Un segno del destino: un uomo irlandese, certo alcolizzato, appena uscito di prigione.

Richard si è lamentato, ma poi è lui che ha preparato tutto per quest'uomo, come se fosse stato un antenato.

Buon Natale.

"Ohio", un estratto.





"Bill tried to relax. The key to a new drug was to understand that there was some small chance that you might freak and try to claw your own eyes out....

"Whoa," said Bill - because there It was. It came flooding over him in one titanic wave that may have resembled chemically induced sensations he'd felt before  but only the way a silent film resembles a modern-day summer action movie. Like take a child from 1922 and sit him down fro "Transformers: Dark of the Moon" in 3D. There was a semblance of familiarity but not really. It was pure bliss that sublimated every anxiety anxiety and sorrow that had built in him for the past fifteen years. All those faces that produced such deep shame and guilt and nostalgia and love, now a mist torched by the dawn. He felt only unattached, unwarranted, pure-as-the-driven-snow-happiness. His skin warmed and tingled, every pore orgasming at once. He watched the love of his life writ brilliantly across the mystic sky river, carrying summer starts, satellites, and dust from the beginning of creation.

As we all know, the way memory works is that the sweep of your life gets explicated by a handful of specific moments, and this totems than stands as narrative. You must invent a ligature that binds the rest. After LSD mixed with metamphetamine, with an interregnum of several quartz of booze, one really begins to interrogate those incidents that blaze neon, and this cocktail was creating particularly interesting transpositions of time. It was like taking a virtual reality tour of his own past, like he could hold his little egg timer, rub it like a lucky time machine, and zip back to the morning he woke up in diaper in Rick's backyard to the heart-shitting sound of a shotgun blast.

Obviously he fell right out of the lawn where he'd passed out."

Stephen Markley, "Ohio"

Valenza - post di tre o quattro anni fa

Per una serie di accadimenti sono in patria, in visita dai genitori, e per un succedersi di altri eventi più o meno fortunati sabato sera mi son ritrovata a teatro.
Si era liberato un posto inaspettatamente, per cui la vicina dei miei mi ha tirato fuori di casa e mi son ritrovata a d assistere allo spettacolo "A suma ad'Valensa" un'opera teatrale amatoriale dedicata alla città in cui sono nata.
È stata un'esperienza surreale.

Il teatro comunale di Valenza è stato riaperto di recente ed è un gioiello che ho scoperto soltanto ora.
Quello che è stato definito il più bel teatro del Piemonte, era per noi un cinema, i miei coetanei adolescenti appiccicavano cicche e spegnevano mozziconi sulle balconate.

In apertura si sono susseguite una decina di letture nostalgie sui tempi che furono: i prati di via Brescia dove ora sorge l'Esselunga, il Castagno secolare sbattuto da biechi palazzinari da cui il nome di Via del Castagnone, l'edicola di fronte all'albergo Croce di Malta che non esiste più, ma anche la storia anonima del gioielliere che partì come muratore ed ora ha fama mondiale, il disagio degli emigrati dalla Sicilia e altre.
Dopo una poesia di Ginetto Prandi recitata in valenzano è stata messa in scena l'opera teatrale.
Un modo diverso di considerare la mia città natale che normalmente percepisco come una scatola vuota, un negozio, una vetrina senza sostanza.




Saturday, January 29, 2022

La musica nella mia casa natale

Francesca Genti

la musica nella mia casa natale
era una cosa poco frequentata,
ma c'era di altri suoni un arsenale:
mia madre, natura appassionata,
scagliava spesso e pure volentieri
piatti, ciabatte, barattoli e bicchieri
in direzione di sua figlia snaturata,
(la sottoscritta) ma pur agile, spigliata,

che con scatto di gatta navigata,
schivava suppellettili violente
e con contegno docile e dolente
poneva fine alla litigata.
Tra vari smack finiva la tenzone:
era come una bellissima canzone
sentita a un rave tecno-industriale
dal quale era impossibile scappare.

Passiamo al padre, mio padre urlava,
sembrava la sirena di una nave
o un licantropo con un morbo grave,
la sua voce era una grossa clava.
Ma can che abbaia non morde si suol dire
e infatti, lasciandolo finire,
in casa nostra tornava l'armonia
c'era intesa, gioco, pure allegria.

Lui era molto bravo nel rimare
e tra liti e urla nevrasteniche,
inventava filastrocche psichedeliche
e nel disegno ci sapeva fare:
paesaggi, animali immaginari,
mappe di paesi straordinari,
che ti veniva voglia di esplorare
e pure di andarci ad abitare.

Questa fu la colonna sonora
fino all'adolescenza turbolenta
quando, ormai lontana la placenta,
decisi che era arrivata l'ora,
se volevo una musica incruenta,
di cantarmela e suonarmela da sola.
Apriti cuore a ogni melodia
che causi di scontento l'amnesia!

Come animale famelico e digiuno
mi aggiravo in cerca di un suono,
che sapesse del tutto e in un tutt'uno
vibrare con me all'unisono.
Dentro di me trovai la poesia,
mi accorsi che sorgeva naturale
se mi trovavo senza anestesia
in qualche condizione eccezionale:

spuntava fuori se mi innamoravo,
se provavo una forte delusione,
per la bellezza di una canzone,
per un profumo mentre camminavo,
per sfida, per rabbia, per dispetto,
per sentire che ero ancora intera,
per la gioia di alzarmi dal letto,
per la tristezza che prende verso sera.

Era legata all'emozione,
come la voce quando non bara,
come la mano che ti accarezza
e con quel gesto si dichiara.
Era come guardare il mare
e l'onda che viene a rompersi a riva:
una cosa che non puoi fermare
come la musica quando arriva.

Così da allora io cerco i suoni
e sondo la sintassi per trovare
quell'unica parola che mi intoni
al mondo che ho voglia di cantare:
per proteggermi dai frastuoni,
per non farmi anestetizzare,
per curare le antiche ustioni,
e non stancarmi di amare.

Francesca Genti è in libreria con La ballata di Nina Simone (Harper Collins Italia)

Saturday, December 18, 2021

La mia casa vista da fuori





Sono uscita a fumare.

Certamente non un'ottima idea, visto che non fumo più in teoria.

Volevo trasgredire e vedere le cose da fuori.


La mia casa, 

quattro mura e un cespuglio di sbieco

davanti, si spande e si innalza,

ma non abbastanza da nascondere 

il suono guizzante delle auto e 

i cori stonati che trasudano dai muri.


Da fuori la mia casa

riposa protetta da mattoni e protezioni,

ma ha le fondamenta scoperte, 

come nervi deboli, nevralgici.

Non è nemmeno mia.


La casa contiene un uomo

che disegna rette,

ordina scrivanie e cassetti,

ma il subconscio lo annega

e lui riordina e annaspa.


Nella casa vive un bambino 

gentile

circondato da luci,

pareti, elicotteri.


La mia casa vista da fuori

splende di una luce fioca.

Il cespuglio non la nasconde

la protegge dai numerosi occhi.

Sunday, November 14, 2021

Marco il territorio

Ho smesso di scrivere in questo spazio per alcuni anni.

Vicino al mio letto ci sono fogli, montagne di fogli, annotazioni di sogni, di preoccupazioni , poesie e  pensieri.

Sotto al mio letto, sul comodino, straripanti in una scatola di ferro grigio: ci sono parole di ogni sorta.

Mesi e mesi di terapia.

Che senso ha scrivere in questo spazio? 

Ho smesso di scrivere perché il vivere in uno stato anglofono mi ha parzialmente azzittito, mi fa sentire linguisticamente mediocre.

Avevo smesso di scrivere perché non reputavo l'atto di scrivere in uno spazio pubblico, questo gridare, non lo reputavo coerente con la mia ricerca di unità con il collettivo.

Da un lato mi dico che non dovrei essere così legata all'ego, non dovrei temere di perdermi, e poi scrivo qui, in questo spazio. 

Questo è puro narcisismo, tipico riflesso della mia ipocrisia.

Mi aggrappo alla vanità, devo lasciare dei segni.

Marchiamo questo vasto territorio.

Sunday, April 08, 2018

Da "Il sergente nella neve" di Mario Rigoni Stern







"....Si andava con la testa bassa, uno dietro l'altro, muti come le ombre. Era freddo, molto freddo, ma, sotto il peso dello zaino pieno di munizioni, si sudava. Ogni tanto qualcuno cadeva sulla neve e si rialzava a fatica. Si levò il vento. Dapprima quasi insensibile, poi forte sino a diventare tormenta. Veniva libero, immenso, dalla steppa senza limiti. Nel buio freddo trovava noi, povere piccole cose sperdute nella guerra, ci scuoteva, ci faceva barcollare. Bisognava tenere forte la coperta che ci riparava la schiena e le spalle. Ma la neve entrava da sotto e pungeva il viso, il collo, i polsi come aghi di pino. Si camminava uno dietro l'altro con la testa bassa. Sotto la coperta e sotto il camice bianco si sudava, ma bastava fermarsi un attimo per tremare dal freddo. Ed era molto freddo. Lo zaino pieno di munizioni ad ogni passo aumentava di peso; pareva, da un momento all'altro, di dover schiantare come un abete giovane carico di neve. 'Ora mi butto sulla neve e non mi alzo più, è finita. Ancora cento passi e poi butto via le munizioni. Ma non finisce mai questa notte e questa tormenta?"'Ma si camminava. Un passo dietro l'altro, un passo dietro l'altro, un passo dietro l'altro. Pareva di dover sprofondare con la faccia dentro la neve e soffocare con due coltelli piantati sotto le ascelle. ma quando finisce?....
Abbandonato sulla neve, al ridosso di una scarpata al lato della pista, stava un portaordini del comandi di compagnia. Si era lasciato andare sulla neve e ci guardava passare. Non ci disse nulla. era desolato, e noi come lui. Molto tempo dopo, in Italia (e c'era il sole, il lago, alberi verdi, vino, ragazze che passeggiavano), venne il padre di questo alpino a chiedere notizie di suo figlio a noi pochi che eravamo rimasti. Nessuno sapeva dire niente o non voleva dire niente. Ci guardava duramente: 'Ditemi qualche cosa, anche se è morto, quello che potete ricordarvi, qualsiasi cosa -. Parlava a scatti gesticolando, e per essere il padre di un alpino era vestito bene. - È dura la verità, - dissi io allora, - ma giacché lo volete vi dirò quello che so.
     Mi ascolto senza parlare, senza chiedermi nulla. -Ecco, - finii, - è così. Mi prese sotto il braccio e mi portò in un'osteria. - Un litro e due bicchieri. - Un altro litro.
     Guardò il ritratto di Mussolini appeso alla parete e strinse i denti ed i pugni. Non parlò e non pianse... Poi mi tese la mano e ritornò al suo paese."
Da "Il sergente nella neve" di Mario Rigoni Stern

Saturday, March 03, 2018

Notturna

La notte cerco fili persi durante il giorno, assemblo significati. 
La notte cerco quelli che non ho tagliato. 
La notte cerco invano il centro, cerco con affanno.
La notte mi impongo di ricordare i sogni, quantomeno le trame. 
E che siano cristallini. Puri come una sorgente.

La notte a volte inquino i sogni.
Li macchio di vecchi film, social, telefonate, riviste.
Non ne vengo più a capo.

Poi scossa elettrica.
La notte si immerge nella assenza.
Ed è li che trovo.

Nel non ricordo.

Thursday, February 01, 2018

Keyla La Rossa, Isaac Bashevis Singer

   "Bunem si assopì. Quando si svegliò stava albeggiando.
Non aveva più voglia di vivere, né di morire. Sembrava aver perso l'amore di sé, quell'egotismo di cui l'uomo ha bisogno per affrontare la vita. Fu colto da un'apatia quale non aveva mai provato prima. era come se avesse capito la futilità di qualunque sforzo, l'insensatezza della lotta di un corpo che sarebbe finito comunque nella tomba.
     Keya era distesa al suo fianco, ma Bunem non provava alcun desiderio. Era questo il Nirvana di cui parlavano i saggi dell'India, o erano i primi segni della morte?
     Keyla si svegliò.
     "Bunem!"
     "Sì".
     "Non dormi?"
     "Sì. No".
     "Bunem, che cosa vuoi fare?"
     "Lo sai che cosa voglio".
     "Bunem, io voglio vivere!"
     "Se vuoi vivere, vivi".

"Keyla la Rossa", Isaac Bashevis Singer
     

Monday, November 13, 2017

Lepidotteri nel cervello





Una colonia di lepidotteri alloggia nel mio cervello.
Si nutrono del mio tessuto nervoso e lo trasformano in dimenticanza argentea e scintillante.
Infestano i miei ricordi e li spuntano in brandelli.

E non so rammendare, avrei dovuto imparare da mia madre.
Contengo scampoli colorati, di stoffe raffinate e sfumature rare, ma così, senza orli nè congiunzioni, non vestono la logica di corpi geometrici.

Svolazzano nel vento ruvide pezze con su dipinte preghiere.
Ne sento il mormorio, eternamente simmetrico e traboccante di significato.




Saturday, August 12, 2017

Marmellata di prugne

Non si sono mai parlati davvero in vent’anni di matrimonio.
Hanno occupato gli stessi spazi.
Arrivò un bimbo da inserire in mezzo, per poter parlare ancora meno. 
Hanno fumato innumerevoli sigarette e bevuto caffè insieme.
Poi lui è morto e lei ha smesso di fumare.
Si è messa a pensare.

Mi dice la signora che fu un colpo di fulmine.
Per tre anni, giovani ed innamorati, passeggiavano per la città di Treviso senza nemmeno accorgersi degli altri.
Lui la prendeva in braccio, lei era leggera e bella.
Lui era vecchio già da piccolo, lei aveva sette anni in meno, ma sembrava ancora più giovane: bionda, esile, raffinata.

Lei amava la montagna e lo sci, lui il mare e la barca.

Lei leggeva e lui agiva.

Lui di estrazione nobile, a dieci anni lo mandarono in collegio perché si muoveva troppo.
Lui si ammalò e mandò lei da dai dottori, ma non ne volle mai parlare.
Lui si indebitò e rimase soltanto una casa, un piccolo castello.
Lo volle con un soppalco, un gran camino, un tavolo rotondo, una serie particolare di mobili.
La moglie scoprì anni dopo che la casa che volle costruire per loro era identica a quella in cui lui visse da bambino, fino ai dieci anni.
Prima del collegio.

A questo la moglie ha pensato dopo e si rimprovera di non aver fatto nulla.
Quando perse tutto il denaro e le cose lui si trovò vuoto e si riempì di una grave malattia.
Ho detto alla moglie che di colpe non ne ha, siamo isole.
Faceva la marmellata questa mattina, di prugne, nella sua casa che ora è un bed and breakfast.


Tuesday, August 08, 2017

Abbracci Ferroviari

Oggi abbiamo deciso di passare il pomeriggio a Pavia: un ritorno nostalgico nella città in cui abitavo.
Abbiamo preso il treno io, mia madre e il Pallino. 
Il treno Valenza Pavia resta la carovana del Far West dieci anni fa: un microscopico mezzo formato da due vagoni antichi dai sedili consunti.
Abbiamo conversato con una ragazza polacca che lavora con i rifugiati, ne aveva una seduta a fianco, la stava portando all'ospedale a fare dei controlli.
Sospetto che il suo definire i rifugiati musulmani peggiori dei cristiani avesse a che vedere con il retaggio iper cattolico polacco, sospetto soltanto, comunque si trattava di una ragazza molto energica, vivace, volenterosa, empatica ed intelligente. 
La ragazza che era con lei non parlava italiano e stava seduta, quasi rannicchiata, rigida e a disagio, in un angolo. 
Ho cercato di conversare in inglese: mi ha detto che viene dalla Nigeria ed è arrivata la scorsa settimana in Sicilia, ora l'hanno trasferita a Mede. 
Mi ha detto di essere arrivata con un barcone e non ne ha voluto parlare, ha visto gente morire sul barcone, questo me lo ha detto. Cosa ha visto e vissuto nessuno mai lo saprà e lei farà bene a non dirlo se non vuole.
Poi mia mamma ha detto che si sentiva quasi di abbracciarla, io le ho detto questa cosa in inglese.
Allora lei si è alzata e si sono abbracciate strette con mia mamma, poi ha abbracciato anche me.
È stato un momento puro.
Non è stato nulla di che, ma in questi piccoli gesti si vede la nobiltà d'animo di mia madre.
Poi è rimasta un po' malinconica, per tutta la giornata.


Tuesday, May 30, 2017

Il tempo e gli amici immaginari



"Quando avevo cinque anni ero andato con mio fratello a pescare", "Quando ero più grande andavo in montagna a raccogliere le fragole", "Anche io una volta abitavo da solo", "il mio amico si è fatto male ad un piede e l'ho portato dal dottore".
Mio figlio di tre anni, a parte il fratello o amico immaginario che spesso compare nei racconti o al nostro fianco, sostiene di aver avuto delle esperienze in passato quando era più grande.
Non metto in dubbio che sia frutto della sua fantasia, ma non me la sento di correggerlo sul concetto di tempo.
Nessuno può dire con certezza come si srotoli il tempo, la differenze tra il percepito e la realtà.
Per cui lo lascio dire, magari possiede una saggezza antica che razionalità ed condizionamenti cancellano in noi adulti.
Siamo soltanto quello che ci immaginiamo, quello che percepiamo. Quella che chiamiamo realtà potrebbe essere soltanto una visione di massa.
Potrebbero trattarsi soltanto di amici immaginari, di immaginazione, di gioco, ma questa faccenda del tempo che graficamente si svolge in linea retta non convince più nessuno.




Sunday, May 21, 2017

Le Farfalle e il Pesce, da "1Q84", Haruki Murakami




"No, non do nomi alle farfalle. Ma anche senza nomi, le distinguo una dall'altra dal disegno e dalla forma. Inoltre, quando si dà loro un nome, chissà perché muoiono subito. Queste creature non hanno nome e vivono per un tempo molto breve. Ogni giorno  vengono qui, le incontro, le saluto e faccio con loro vari discorsi. Ma, quando il tempo è giunto, le farfalle scompaiono da qualche parte, in silenzio. Penso siano morte, ma sebbene cerchi, non ne trovo mai i resti. Svaniscono senza lasciare traccia, come se si fissero dissolte nell'aria. Le farfalle hanno una grazia incantevole, ma sono anche le creature più effimere che esitano. Nate chissà dove, cercano dolcemente solo poche cose limitate, e poi scompaiono silenziosamente da qualche parte. Forse in un mondo diverso da questo", da "1Q84", Haruki Murakami.

Murakami allinea le parole e disegna leggerezza.
Come se dipingesse con acquerelli linee geroglifiche dalla bellezza misteriosa, mascherata, contenenti segreti soltanto percepibili.
Le farfalle scompaiono, svaniscono.
Sono stata a trovare i miei genitori in Italia, dopo un paio di settimane torno a casa e così è successo al mio pesce: svanito.
Era un pesce senza nome, senza particolarità. Sembrava una alice o forse una sardina, uno di quei pesci che sgranocchi come aperitivo in pastella.
Aveva certamente sei anni, forse di più.
Era sopravvissuto ad altri tre compagni, forse li aveva mangiati lui.
Richard lo ha nutrito, in realtà è suo, lo sfamava sempre lui comunque.
Non si sa cosa sia successo, nemmeno quando, sul dove si possono fare delle congetture.

Ho guardato nell'acqua algosa che ormai da un mese va cambiata e c'erano soltanto lumache pulitrici.
Svanito, volatilizzato.
Non eri poetico come le farfalle di Haruki e non ti facevo gran discorsi, ma sembravi sereno.
Che l'acqua ti sia lieve my friend.

Monday, May 01, 2017

Richard Yates - Revolutionary Road




"Fu solo quando giunse al punto in cui doveva dire: "e allora dò di gomito a quello che stava vicino a me e gli dico: 'Ehi che giorno è oggi?'" che cominciò a sentirsi imbarazzato, ma  ormai era troppo tardi, non gli restò altro da fare che finire il racconto: "E così ho scoperto che era il mio compleanno'. Ora sapeva di aver raccontato la stessa storia ai Campbell un'atra volta, usando quasi le stesse parole, doveva essere successo l'anno prima, quando ne aveva compiuti ventinove.
I Campbell, marito e moglie, fecero udire coscienziosamente piccole risatine divertite, e Shep diede un'occhiata all'orologio. Ma la cosa peggiore - la peggiore di tutto il fine settimana, se non della sua vita fino a quel giorno - fu la maniera in cui April lo guardava. Non aveva mai visto, negli occhi di lei, quello sguardo di tedio compassionevole.
Una cosa che lo tormentò per tutta la notte, che trascorse da solo; e che era ancora lì al mattino, mentre inghiottiva il caffè e, a retromarcia, percorreva il viottolo di ingresso con la Ford scassata che usava per andare e tornare dalla stazione. E sul treno, diretto a lavoro - uno dei passeggeri più giovani e più in forma - se ne stette seduto con l'aria di un uomo condannato a una morte molto lenta e priva di dolore. Si sentiva di mezza età."
Richard Yates - Revolutionary Road

Tuesday, April 04, 2017

Psicanalisi

Si è accartocciata la linea del tempo,
un fragoroso bagliore lattiginoso e accecante.

Sono scivolati dentro all'imbuto diari e vecchie lettere,
cornamuse e violini,
vecchi film e parate.

Rotolati all'interno e mischiati,
da lancette storte e polverose.
Lucenti però. Laccate.
Poltiglia.

Tutte le pagine e le pergamene,
tutte dentro, formiche quali sono.

Psicanalizzatele ora,
queste briciole stantie.
Nessuno le ricorderà,
le potrà separare.

Psicanalizzatele ora.






Wednesday, March 29, 2017

Case del passato


Quand'ero bambina, i pomeriggi erano interminabili.
Quando si faceva buio ed i miei genitori non erano ancora rientrati da lavoro, nell'attesa, mia nonna Bina si sedeva sul divano di velluto giallo-marrone ed io appoggiavo la testa sul suo grembiule a fiori.
Stavamo lì, sospese nel tempo. Lei mi raccontava delle storie che univano il suo passato al mio presente, la leggenda alla storia, l'assurdo alla quotidianità.
Così alleviava l'attesa.
Ancora oggi le storie mi alleviano l'attesa.
Di cosa non so.

Mi raccontava del suo passato. Di quando prima di sposarsi alloggiava e lavorava in un ristorante- albergo che si affacciava sul Po, fuori Valenza: il "Barachin del Moro".
Ne parlava spesso come di un periodo mitologico della sua vita,  nonostante si trattasse di un lavoro umile e di sfruttamento. Descriveva le sue datrici di lavoro come delle benefattrici soltanto perché le davano un tetto, le regalavano vestiti usati e a Natale pezzi di stoffa per farsene dei nuovi.
Ogni giorno si svegliava prima dell'alba ed iniziava strofinando macchie dalle tovaglie usando la cenere del camino e concludeva la giornata la sera tardi, spreparando gli ultimi tavoli degli avventori barcollanti e mettendo a mollo stoviglie e tovaglie.
Lì conobbe il futuro marito, il nonno Remo, che non ho mai conosciuto.
Pare che anche lui fosse un avventore barcollante del fine settimana.

C'era la storia del gigante.
A quanto pare un gigante che lavorava al circo si presentò un giorno al Barachin del Moro e prenotò una stanza per un paio di notti. A quanto pare era incredibilmente alto, una rarità anche per il mondo del circo, un caso da Guinness dei primati.
A quanto pare lo condussero in una stanza, ma presto mia nonna ed un'atra furono chiamate in soccorso: il gigante non riusciva a riposare perché il letto era troppo corto.
Così la nonna dovette aggiungere non una, ma ben due sedie in fondo al letto, ed una coperta, così il gigante riuscì a stendere le sue lunghissime gambe.

Poi c'era quella del palombaro con la labirintite.
A quanto pare tirarono fuori dal Po un palombaro in pericolo: non riusciva più a risalire dal fondo del fiume a causa di un attacco di labirintite.

C'era poi una vecchia signora che trovarono morta, con la faccia mangiata dai topi.
Questo accadde nel quartiere nel quale abitava, quando era piccola.
Chissà da dove giunge questa mia fobia dei topi...
Che storia graziosa.

C'era poi la classica leggenda metropolitana: quella di un carro, o forse una macchina, che nella nebbia di novembre diede un passaggio ad una ragazza trovata sul ciglio della strada.
Una ragazza con una vestito lungo, bianco, pallida e disorientata.
Il signore del carro seguì le indicazioni della ragazza e la lasciò nella nebbia.
Soltanto il giorno dopo ripercorse la strada mentalmente e capì che l'aveva lasciata davanti al cimitero.
Venne poi a sapere che la ragazza era morta.
Un classico.

C'era poi quella della famiglia di gatti microscopici che viveva sotto terra, in un buco.
Questa in realtà se la ricorda mia madre.

Ora questo rimane della nonna Bina: le sue storie.
Le racconto in versione meno terrorizzante anche al mio bimbo, che a sua volta ricorderà alcuni particolari modificati. O nulla.
E la memoria sbiadisce.

Non mi raccontava mia nonna della guerra.
Nè della sua bambina di tre anni che le morì tra le braccia.
Ma certe cose anche se non sono raccontate traspirano.

Nella sua casa dove il tempo era scandito dal tic tac di un vecchio orologio e dal crepitio della stufa a gas le storie erano scritte sui muri. Si giocava a carte e mi faceva sempre vincere, giocavo al negozio di verdure con bilancia e pomodori veri, attaccavamo figurine e preparavamo i gnocchi.

Non le storie in sė ma il significato distillato viene assorbito per osmosi quando si passa così tanto tempo insieme.
Ed io con mia nonna Bina di tempo ne ho passato.