Wednesday, May 25, 2016

"These Days" e cortili


Non pubblico video solitamente.
Questo artista non lo conosco nemmeno e non si tratta del genere di musica che ascolto di solito.

"These days" cantava questo signore con l'aria da surfer malinconico, mentre percorrevo in diagonale i cortili dell'Università pavese, tra le magnolie fuorvianti ed un crepuscolo acciottolato.
Non sarebbe stata sperimentale abbastanza per essere sentita in pubblico questa canzone, le cui parole esprimevano esattamente quello che avevo in testa quella sera, ma avevo le cuffie ed andava bene così.

Avevo bisogno di esasperare quello stato d'animo.
Avevo bisogno di espiare il male che avrei provocato coltivandone un po' anche in me.
Avevo bisogno di raccontarmi che si sta parecchio male a far del male, che non era della situazione scomoda che avevo timore o della mia incertezza.

Quella sera dopo un bicchiere di grappa in più ho poi deciso di cambiare strada.
E se riavvolgo il tempo e guardo quella ragazza da dietro l'angolo, anzi, se mi faccio dare un passaggio da un uccello di dimensioni importanti e la guardo dall'alto, sì dall'alto, questa ragazza non è che una formica. 
Vile e falsa, come siamo tutti.
Se mi rimpicciolisco invece la vedo decidere le sorti del mondo, uccidere pianeti che girano intorno al suo stomaco e popolazioni che risiedono sotto la sua ascella destra.

Fa assolutamente bene struggersi talvolta. 
Più si è giovani e più lo consiglio.
Enfatizzare il tutto con canzoni da sentire in pubblico sul pessimismo comico e da sentire in cuffia sulle storie finite. 

Poi si cresce ed arriva un momento in cui forse è meglio evitare.
In cui a sentire troppa musica triste si diventa tristi davvero.

A camminare tra i cortili vedo un movimento impercettibile verso il futuro.








Thursday, May 19, 2016

Social in azienda, servirà?

Con la nuova start-up della quale sono socia mi trovo a svolgere varie mansioni: dalla contabilità al crowdfunding, dalle traduzioni ai preventivi, dai social media alle spedizioni.

Facebook, il vecchio compagno sociale contraddistinto da quella sfumatura di blu che certamente diventerà "blu Facebook" tra qualche anno, quello non lo temo. Su Facebook mi sento a casa.
talmente a casa da dimenticare dove sono a volte mentre ci navigo.
Su Facebook ho ritrovato quello che è ora mio marito alcuni anni fa. 
Non conosco le potenzialità pubblicitarie del mezzo, ma almeno conosco il mezzo.

Mi sono trovata invece a dover twittare e a postare foto su Instagram.
Per ora lo sto facendo giornalmente, ma non capisco nulla delle potenzialità pubblicitarie di questi social ai quali presto dovremo aggiungere quantomeno Pinterest.

A quanto pare ci dovremmo quanto meno attenere alla regola del 80-20, ovvero si dovrebbe postare per l'80% cose che riguardano altre società o che quantomeno non siano prodotti o servizi che l'azienda vende.
Senza interazione il social non ha ragione di esistere. Ci sta.

Ma mi chiedo, in che senso è meglio?
C'è un algoritmo o un controllo che ti abbassa in classifica di ricerca se sei troppo autoreferenziale?
O sono leggi etiche?
O si tratta della community, che se va sul tuo profilo aziendale e vede solo autocelebrazione ti snobba?

Inoltre, a quanto pare il futuro è nelle mani degli influencers. Ma di questo ne parliamo un'altra volta.
Vado a lavorare.