Friday, October 24, 2014

Da "Una barca nel Bosco", Paola Mastrocola



La fine delle scuole superiori, quanto coraggio si ha, quanta voglia di vivere.
Vento frizzante sulle guance.

"Ognuno si sogna quel che vuole per la fine del liceo. Io mi sognavo questo, gli altri no. I miei compagni sognavano altro, ad esempio andare ad Amsterdam con la tenda arrotolata nello zaino oppure un corso pre universitario a Princeton. Dipende da cosa vuoi nella vita. Io volevo l'oceano.
Volevo andare a vedere di che colore era, se era diverso dal mare della mia isola ad esempio, se davvero un oceano è più grande di un mare. Cercavo l'idea di grandezza, l'idea. Speravo di incontrarla, di vedermela davanti, spianata e palpitante. Mi tenevo stretto questo pensiero per quando avrei finito la scuola. Ero libero e la vita ce l'avevo davanti, dico la vita che volevo, che è un po' come avere un oceano davanti. Avevo solo paura che invece non fosse niente, che fosse come un mare, perché l'infinito te lo da benissimo anche un mare, non c'è bisogno di un oceano: finiscono tutti e due con l'orizzonte, e l'orizzonte è uguale da tutte le parti, non è che c'è scritto sopra "orizzonte di mare" oppure "orizzonte di oceano".
Così sono andato a vedere. Mi son detto: vado sempre dritto finché trovo l'oceano. E l'ho trovato..."
"... Bastava andare in Francia fino a dove finisce la terra, niente di straordinario.
E così l'ho trovato. L'ho sentito, prima di vederlo. Era ancora notte, ma io l'ho sentito col naso, ho pensato: ecco, questo e l'odore dell'oceano."
"... Ho posteggiato, sono sceso, ho fatto una ventina di passi, c'era un muretto e dietro il muretto lui, l'oceano; lì spalmato davanti che ti respira largo come l'universo e tu dici: ecco, appunto, io intendevo questo.
Non era per niente come il mare: era l'oceano. Come mi aspettavo. L'esattezza delle cose che ti aspetto, la coincidenza di ciò che hai immaginato con ciò che è, la felicità di vedere due cose che si sovrappongono esattamente e non c'è più divario fra pensiero e realtà. Stupendo. Non facile. Quasi sempre ti fai un'idea delle cose che poi non è mai quella."

E quale realtà comune sul laurearsi in questo breve paragrafo che segue! 
Togliamo gli orpelli della finzione narrativa e rimane il succo dell'esperienza, una realtà con la quale  molti laureati del "vecchio ordinamento" hanno dovuto fare i conti.

"Comunque mi viene una tesi stupenda, un capolavoro di idee, collegamenti, ipotesi ardite.
E invece a Batticolla non piace per niente la mia tesi. É irritato, quasi offeso. Mi dice: 
"Ma lei come si permette?"
Non capisco a cosa si stia riferendo, ma per fortuna c'è Svitiglio che mi vuole bene e sente un po' di pena per me. Mi prende da una parte e mi spiega che il professore ha ragione, io nella tesi ci ho messo troppe idee, troppa originalità, cosa volevo, strafare? Mi spiega che bisogna essere più umili in una tesi, citare quelli più vecchi di noi con tanto di data e luogo di edizione e basta. Al massimo dire ogni tanto che la cosa anche a noi sembra così, che il tale o che il talaltro, secondo il nostro modesto parere, hanno proprio ragione.
Siccome mi vede affranto, si offre di seguirmi per una revisione totale della tesi."
"È un lavoro un po' lungo, ma ce là facciamo. Svitiglio mi cancella tutte le frasi in cui sono espresse delle idee o anche solo se ne veda un barlume, e mi insegna due cose fondamentali: citare, cioè disseminare un buon numero di frasi altrui nella pagina; e ridire, in altro modo, le cose che sono state già dette dagli altri. E un vero maestro. Non so cosa avrei fatto senza di lui.
Adesso Batticolla è molto contento di me, dice che mi è venuto proprio un bel lavoro, meritevole di lode. Posso quindi laurearmi."



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