Friday, December 16, 2016

In viaggio con la torta paradiso







Mio padre, nato e vissuto in Piemonte e spostato dalla regione natia soltanto con massicce opere di persuasione, un uomo che canta e sorride da una vita soltanto quando le vacanze e le gite fuori porta sono concluse, fece il militare nei bersaglieri e trascorse un periodo indefinito a Napoli, erano gli anni '60.
Napoli era una meta esotica temuta ed immaginata come: caotica, straripante di cibarie, truffaldina, rumorosa, maggiorata, invadente e con un sistema fognario medievale.
Mia nonna Esterina, detta Rina, sua madre, quando un membro della famiglia partiva per una vacanza o una trasferta aveva l'indiscusso onore di fare la valigia, rito che si perpetuò di generazione in generazione. Ricordo nitidamente come stese tutti i miei vestiti sul letto matrimoniale dei miei e li allargò, uno a uno, nella grande valigia che mi portai nella mia prima trasferta a Premeno, quando a sei anni andai in colonia. La stessa tecnica certamente la applicava con mio padre. Non c'era posto per nascondere nulla, tutto era steso e stirato alla perfezione, nessun angolo segreto, nessun posto per stropicciamenti maldestri.

Giornalmente mio padre vendeva agli altri militari, alla mensa, la sua razione di vino per racimolare denaro al fine di acquistarsi un panettone. Credo vendesse anche porzioni di frutta e lettere per le fidanzate di alcuni commilitoni semi-analfabeti o poco romantici.

Fatto sta che l'obiettivo era un panettone al giorno.
E ogni sera si mangiava un panettone con il latte.

Il signor Magarotto, conoscente dei miei nonni, si recò a Napoli in visita ad un parente proprio nel periodo in cui faceva il militare "il Giusep", mio padre.
Mia nonna dunque fece preparare una torta paradiso alla panettiera e la diede al signor Magarotto con la missione di consegnarla "al Giusep, gram fiò." E il signor Magarotto così fece, perché pochi osavano contraddire mia nonna.

Certo la nonna Rina non si immaginava che Napoli gremisse di pasticcerie, poco si sapeva allora di mete così esotiche, e poco tempo aveva la nonna Rina da sprecare leggendo informazioni, lavorando dodici ore al giorno. Non sapeva nemmeno che il Giusep si stava procurando un panettone al giorno.

Così il signor Magarotto viaggiò in treno con la sua valigia e con la torta paradiso come bagaglio a mano. 




Sunday, October 30, 2016

Danish Style - Non prendiamolo troppo seriamente






Nel Regno Unito spopola il Danish Style.
Si tratta di mode: il "clean eating", i libri da colorare per gli adulti, il prosecco: sembrava fossero la soluzione ad ogni problema.
Ora c'è il Danish style.
Ci sono cascata dentro anche io: tovaglie, tovagliette, posate e mobili per il piccolo, tutto Danish. A ben pensarci la casa in cui vivo è abbastanza Scandi.

Il mio punto è: non esageriamo.
Si legge ovunque Hygge, pare la cura a tutto.
Hygge evoca candele al profumo di cannella, atmosfere intime, caminetti, gente di razza ariana, preferibilmente attraente, minimalista, di mentalità aperta, preoccupata per il riscaldamento globale, con prole silenziosa e ben educata che gioca con oggetti rigorosamente in legno.

È un tripudio di oggetti e mobili Danesi in ogni negozio che si rispetti, ma questo ci sta.
Ma il fatto che il weekend a Copenaghen sia diventato trendy, sopratutto se coronato da, per chi se lo può permettere, una cena da Noma, questo mi pare eccessivo.
Si prenota prima la cena da Noma. Bisogna iniziare a provare a trovare un tavolo sei mesi prima e si accetta qualsiasi giorno, poi in base a quello si prenota il volo.

Poi bisogna mangiare pane di segale.
Va bene.
Ma pure lo stile di vita?
Non credo che accendere due candele ed ubriacarsi con una coperta di lana sia la chiave della felicità.
Nonostante il pessimismo regnante in Italia, forse possiamo ancora insegnare qualcosa ai nordici sullo stile di vita?
Oh yes!








Saturday, October 29, 2016

Non scrivo da un po'.

Non scrivo da un po'.
Capita di non avere nulla da dire.

Ogni giorno verso l'alba riaffioro dal sonno e mi trovo un piccolo uomo di fianco e uno adulto un po' più in là. Quello piccolo ha il mio amore indiscusso, quello grande dipende.
Con facilità scivolo nuovamente nel torpore e sogno.

Alle sette e mezza scendo dal letto e ricordo nitidamente sogni spesso inenarrabili.
Insieme ad una mia amica di infanzia avveleniamo suo zio e lei dichiara di voler uccidere anche il padre con delle frecette tropicali. Psicomagia onirica.
Oltre a casa mia ricordo di aver una seconda casa, con muri doppi e stanze segrete, che ho paura di esplorare.

Intrisa di metafore scendo in cucina, bevo acqua tiepida e limone, sorseggio un caffè e nutro me e il piccolo uomo.
Poi gioco o lavoro, non ho tempo di essere triste, né di essere troppo felice.

Così tra il sonno e la veglia poco rimane da dire di questi tempi.



Saturday, September 10, 2016

Stoner di John Williams




Non ho mai creduto che certi libri sacri fossero stati scritti da mano divina.
Il nostro mondo, il tempo, lo spazio ed i sensi sono limitanti e non possono che spiegare i misteri dello spirito attraverso le parole di uomini.
Parole che lo sguardo chirurgico e dilatato della storia non può che confermare: sono opera di uomini al lavoro.
Poi mi è capitato di leggere alcuni capolavori e di pensare che certe opere possono nascere soltanto da una ispirazione metafisica, da rari momenti di unione con il tutto.
Non c'è altra spiegazione.
Quando abbiamo iniziato a separare l'umano dl divino?
Certi passaggi di opere, certi dipinti, certe poesie sono certo frutto di illuminazione, elevazione, unione con Dio.
Così quando ho letto Stoner di John Williams mi è parso di scoprire un tesoro, un rinnovato senso della vita.
Mi sono ricordata quanto per me la parola scritta sia sacra, sia molto più reale delle immagini, quanto mi tenga in vita.


     “Cosa ti aspettavi?, pensò di nuovo.
     Una specie di gioia lo colse, come portata dalla brezza estiva. Ormai ricordava a malapena di aver pensato al fallimento, come se avesse qualche importanza. Gli sembrava che quei pensieri fossero crudeli, ingiusti verso la sua vita. Vaghe presenze si affollavano ai bordi della sua coscienza. Non riusciva a vederle, ma sapeva che erano lì, a raccogliere le forze in cerca di una palpabili che non era in grado di vedere né di sentire. Si stava avvicinando a loro, lo sapeva…”
“Una morbidezza lo avvolse ed un languore gli attraversò le membra. La coscienza della sua identità lo accolse con una forza improvvisa, e ne avvertì la potenza. Era se stesso, e sapeva cosa era stato. 
     La testa si voltò. Il comodino era carico di libri che non toccava da tempo. Vi lasciò correre la mano per un istante e si stupì della sottigliezza delle dita, dell’intricata articolazione delle giunture mentre le fletteva. Sentì la forza dentro di loro e lasciò che prendessero un libro dal mucchietto sul comodino. Era il suo libro che cercava, e quando la sua mano lo prese, sorrise vedendo la copertina rossa tanto familiare ormai sbiadita e consumata dal tempo.
     Poco gli importava che il libro fosse dimenticato e non servisse più a nulla. Perfino il fatto che avesse avuto o meno qualche valore gli sembrava inutile. Non s’illudeva di potersi trovare in quel testo, in quei caratteri scoloriti. E tuttavia, sapeva che una piccola parte di lui, che non poteva ignorare, era lì e vi sarebbe rimasta.
     Aprì il libro, e mentre lo faceva, il libro smise di essere il suo.
     Lasciò scorrere le dita lungo le pagine e sentì un fremito, come se quelle fossero vive. Il fremito gli attraversò le dita e corse lungo la carne e le ossa. Ne era profondamente cosciente e aspettò fino a sentirsene avvolto, finché l’eccitazione di un tempo, simile al terrore, non lo immobilizzò nel punto in cui era steso. La luce del sole, attraversando la finestra, brillò sulla pagina e lui non riesci a vedere cosa c’era scritto.

     Le dita si allentarono e il libro che tenevano si mosse piano e poi rapidamente lungo il corpo immobile, cadendo infine nel silenzio della stanza.”  Stoner di John Williams

Thursday, June 09, 2016

Il piccolo uomo che dorme

Guardo il piccolo uomo che dorme di traverso nel nostro letto, fortunatamente King size. 
Dovrebbe dormire nel suo lettino che siamo riusciti ad accaparrarci prima che nascesse negoziando su Ebay, siamo andati fino a York per recuperarlo. E a cosa serve? Ci mette i peluche a dormire.

Guardo il piccolo uomo che dorme, dorme dalle nove, non certo dalle sette come tutti i bimbi anglosassoni. 
Anche in quello rimango con un piede in Italia ed uno nel Regno Unito.
Qui mi comunicano velatamente che il piccolo va a dormire tardissimo e si chiedono come possa saltare la fase del relax con un bicchiere ed il figlio a letto, mentre in Italia se la ridono quando sono ospite dai miei e lo trovano addormentato alle otto e mezza, i  loro figli saltano e giocano sino alle dieci e mezza.

A stare con un piede in Inghilterra ed uno in Italia ti manca sempre qualcosa e paradossalmente è una condizione privilegiata. 
Permette di relativizzare, di apprezzare, di liberarsi del peso di alcune parole liberandole nella lingua altra. 
Aborro il suono della parola "puzza" ma "smell" non ha peso.
"Amore" mi fa venire la nausea, ma "love" è quasi pop art.

Stando con un piede altrove sono fuori dalle dinamiche famigliari nel bene e nel male, dalle etichette che involontariamente ti appioppa chi ti conoce da sempre, dalla schiavitù della moda, dalla dipendenza dal giudizio delle persone (qui non ne conosco abbastanza).
Sono fuori.

E che il piccolo uomo dorma quando gli pare.


Wednesday, May 25, 2016

"These Days" e cortili


Non pubblico video solitamente.
Questo artista non lo conosco nemmeno e non si tratta del genere di musica che ascolto di solito.

"These days" cantava questo signore con l'aria da surfer malinconico, mentre percorrevo in diagonale i cortili dell'Università pavese, tra le magnolie fuorvianti ed un crepuscolo acciottolato.
Non sarebbe stata sperimentale abbastanza per essere sentita in pubblico questa canzone, le cui parole esprimevano esattamente quello che avevo in testa quella sera, ma avevo le cuffie ed andava bene così.

Avevo bisogno di esasperare quello stato d'animo.
Avevo bisogno di espiare il male che avrei provocato coltivandone un po' anche in me.
Avevo bisogno di raccontarmi che si sta parecchio male a far del male, che non era della situazione scomoda che avevo timore o della mia incertezza.

Quella sera dopo un bicchiere di grappa in più ho poi deciso di cambiare strada.
E se riavvolgo il tempo e guardo quella ragazza da dietro l'angolo, anzi, se mi faccio dare un passaggio da un uccello di dimensioni importanti e la guardo dall'alto, sì dall'alto, questa ragazza non è che una formica. 
Vile e falsa, come siamo tutti.
Se mi rimpicciolisco invece la vedo decidere le sorti del mondo, uccidere pianeti che girano intorno al suo stomaco e popolazioni che risiedono sotto la sua ascella destra.

Fa assolutamente bene struggersi talvolta. 
Più si è giovani e più lo consiglio.
Enfatizzare il tutto con canzoni da sentire in pubblico sul pessimismo comico e da sentire in cuffia sulle storie finite. 

Poi si cresce ed arriva un momento in cui forse è meglio evitare.
In cui a sentire troppa musica triste si diventa tristi davvero.

A camminare tra i cortili vedo un movimento impercettibile verso il futuro.








Thursday, May 19, 2016

Social in azienda, servirà?

Con la nuova start-up della quale sono socia mi trovo a svolgere varie mansioni: dalla contabilità al crowdfunding, dalle traduzioni ai preventivi, dai social media alle spedizioni.

Facebook, il vecchio compagno sociale contraddistinto da quella sfumatura di blu che certamente diventerà "blu Facebook" tra qualche anno, quello non lo temo. Su Facebook mi sento a casa.
talmente a casa da dimenticare dove sono a volte mentre ci navigo.
Su Facebook ho ritrovato quello che è ora mio marito alcuni anni fa. 
Non conosco le potenzialità pubblicitarie del mezzo, ma almeno conosco il mezzo.

Mi sono trovata invece a dover twittare e a postare foto su Instagram.
Per ora lo sto facendo giornalmente, ma non capisco nulla delle potenzialità pubblicitarie di questi social ai quali presto dovremo aggiungere quantomeno Pinterest.

A quanto pare ci dovremmo quanto meno attenere alla regola del 80-20, ovvero si dovrebbe postare per l'80% cose che riguardano altre società o che quantomeno non siano prodotti o servizi che l'azienda vende.
Senza interazione il social non ha ragione di esistere. Ci sta.

Ma mi chiedo, in che senso è meglio?
C'è un algoritmo o un controllo che ti abbassa in classifica di ricerca se sei troppo autoreferenziale?
O sono leggi etiche?
O si tratta della community, che se va sul tuo profilo aziendale e vede solo autocelebrazione ti snobba?

Inoltre, a quanto pare il futuro è nelle mani degli influencers. Ma di questo ne parliamo un'altra volta.
Vado a lavorare.


Thursday, April 14, 2016

Energie decentralizzate




È ufficiale: anche quest'anno Oakham rientra nella lista pubblicata dal Sunday Times dei migliori luoghi in cui vivere nel Regno Unito.

Circa vent'anni fa (non è possibile che il tempo sia passato così in fretta) vissi a Londra per un anno. Avevo diciannove anni e manie di onnipotenza, voglia di divertirmi fino allo sfinimento ed una curiosità intellettuale insaziabile, sete di esperienze e necessità di fuga.
Era il 1997 e l'atmosfera era magica, a Londra si scavalcavano le mode, si era liberi, si trasgrediva, si ballava fino all'alba, si trovava lavoro sempre e molto molto altro.
Londra era il centro dell'universo.

Oggi soltanto gli straricchi possono vivere Londra.
Gli altri affittano una microcamera e si barcamenano.
Non è mai stata economica, ma ora è proibitiva, di conseguenza si è quasi totalmente svuotata di quell'anima preziosa di giovani provenienti tutto il mondo in cerca di creatività, musica, bellezza, spensieratezza.
In centro abitano miliardari russi, arabi, Vip, figli di gente famosa o danarosa, oppure quegli esseri alieni che lavorano nella City.

Ora non volevo fare la nostalgica o la polemica, volevo soltanto dire che non esiste più un centro creativo, ci si incontra in rete, o altrove. A Londra si fa business.

Ora abito qui ad Oakham e si vive felicemente in queste micro realtà, ci sono molte iniziative culturali.
Così si sta come in primavera sugli alberi, le gemme: con un lavoro che si può gestire da casa, o meglio, da dove si vuole.

Circondati dal verde e connessi alla rete.





Friday, March 18, 2016

Ode al Business



Sono in quella fase della vita in cui se non si è artisti di mestiere, ricchi di famiglia o soddisfatti di aver nulla, si deve accantonare l'arte, se occupa troppo il cervello.
Si deve accantonare la fantasia, la poesia.
Ho quasi quarant'anni ed un figlio di due, devo costruire qualcosa per il futuro.
Dicono che tra i quaranta ed i cinquant'anni ci si sente di dover costruire qualcosa dal punto di vista professionale, si ha questa sensazione del "adesso o mai più'". Vero.

Sono diventata socia di un azienda di illuminazione, una start up italiana con sede in Inghilterra, una grande occasione.
E sono molto entusiasta.
Soltanto devo accantonare la letteratura e leggere odi al business.

Già ho iniziato a leggere un manuale sul crowdfunding su Kickstarter ed uno di crescita personale.
Dopo aver letto l'ultima pagina di "Perle ai Porci" di Kurt Vonnegut.
Peccato non avere sei vite.
Con un figlio piccolo devo fare delle scelte, posso soltanto leggere prima di andare a letto. Sopratutto voglio dedicargli molto tempo, cresce troppo in fretta.

Recupererò.
Speriamo nel frattempo di non inaridirmi.
Culturalmente intendo, il pupo a livello emotivo-energetico mi annaffia ogni giorno, molto più della letteratura.
Vi tengo informati.

Monday, March 07, 2016

Successo e squilibrio



Ho un amico che lavora nella City a Londra, guadagna montagne di denaro e nuota nel potere, mangia pillole contro la gastrite come caramelle e incontra le persone che muovono capitali e cambiano la storia.
Questo amico mi spiegava che tipo di persone cercano di aggiungere alla loro squadra e cosa chiedono ai candidati ai colloqui.
Mi aspettavo di sentirmi descrivere laureati in matematica ed economia, con anche un paio di lauree e vari master, formati dalle più prestigiose università del mondo, già benestanti di famiglia.
Non è questo il caso. Magari anche questo, ma non si tratta delle caratteristiche determinanti.
Quelli corrispondenti al profilo che ci immaginiamo hanno dimostrato in passato di non essere in grado di raggiugnere il successo.

Loro cercano gente che ha dovuto lottare, che è stata calpestata, schiacciata, gente che vuole una rivincita.
Cercano di capire se il candidato è stato vittima di bullismo, è stato vittima di uno sconvolgente rovescio economico, di una discesa sociale familiare o semplicemente è stato un po' sfigato durante l'adolescenza.
"Quindi se uno è equilibrato non viene preso? L'essere in pace con sé stessi è una caratteristica negativa?"
Risposta positiva.

Quindi non sentiamoci dei falliti quando non siamo stati presi per un lavoro importante.
La risposta potrebbe essere: "Sei troppo equilibrato per questo lavoro".



Saturday, January 16, 2016

Inghilterra, che noia o che benedizione? Terra di misurazioni, valutazioni, pianificazioni.



Qui in Inghilterra le cose funzionano meglio.
Si sa.
Lo dicono tutti.
Sopratutto gli italiani.

In effetti l'organizzazione, il lavoro di squadra e la pianificazione sono alla base della società britannica.
La differenza fondamentale tra noi latini e gli anglosassoni è che per loro l'ordine, la pianificazione e l'organizzazione sono, non solo fondamentali, ma addirittura divertenti.
Per noi mediterranei invece sono sinonimo di pedanteria, mancanza di creatività, noia.
E non amiamo condividere le nostre idee, trasferire la nostra creatività ad un gruppo di lavoro, in fondo perché temiamo sempre di essere "fregati", che gli altri si prendano il merito.

L'esempio di efficenza più vicino che ho: mio marito, inglese, quando ha del tempo libero inizia a fare degli elenchi di lavoretti i da fare, cose da acquistare e propone di organizzare in sincronia i nostri diari. Peccato che io il diario, da quando non lavoro a tempo pieno, lo tengo in testa. E ammettiamolo, non funziona molto.

Nelle aziende e nelle scuole questa filosofia di pensiero si ritrova nel costante impiego di mezzi di misurazione del lavoro e del valore delle persone.
La cosiddetta meritocrazia risolleverebbe il morale delle molteplici persone frustrate in Italia, terra del nepotismo e del bullismo aziendale.
Meglio così che da noi, assolutamente. Se stiamo a vedere i risultati.
Se invece analizziamo lo stile di vita, in tal caso, questa perenne esigenza di pianificare a lungo termine ed anche a breve, dalle vacanze alla spesa, causa una cronica mancanza di capacità di godersi l'attimo.

Tornando alla meritocrazia ed alla misurazione dei risultati, ho notato che qui ognuno accetta la misurazione assegnata e raramente mette in discussione il metodo.
Anzi, si tende a pensare di "essere" quella valutazione.
All'origine di quel metodo di valutazione c'è chi l'ha creato.
Nel caso del mo ultimo lavoro arrivò un nuovo direttore che stravolse completamente un metodo di misurazione del nostro lavoro, con tanto di marketing interno aziendale, merchandising, concorsie e riunioni infinite, al fine semplicemente di dimostrare di aver migliorato l'azienda ed i risultati, metterlo sul curriculum e cambiare lavoro.
Il nostro lavoro non era cambiato, solo il metodo di valutazione.

Ci sono metodi di misurazione dell'intelligenza delle persone universalmente accettati che sono pericolosi se presi in considerazione troppo seriamente.
Intendo per esempio l'IQ.
Conosco un ragazzo con un IQ da genio, che comportamentalmente sfiora l'autismo.

Torniamo a prendere come cavia il mio amato marito.
Sta frequentando l'università per una master e l'altra sera mi diceva che secondo lui io avrei addirittura meno difficoltà di lui a seguire e preparare le tesine.
Pur non ritenendomi stupida, gli spiegavo che non ci capirei nulla di alcuni meccanismi aziendali.
"Forse come IQ io ti batterei, ma come EQ e SQ tu mi supereresti alla stragrande."

Ora, sapevo dell'EQ, ovvero quoziente emozionale, ma SQ?
SQ, temiamoci forte, è il quoziente spirituale.
Soltanto in un'era di delirio di illuminismo, scienza e razionalità, la misurazione della spiritualità può esistere.
Non dico di tornare alla stregoneria, ma ricordiamoci che le misurazioni e le valutazioni funzionano, ma non facciamone una nuova religione.
Sopratutto non ci facciamo distruggere e condizionare da un voto, da un bonus non ottenuto, da una valutazione bassa.
Usiamole come stimoli e come un gioco.

Ora vado online a cercare come misurarmi l'SQ.



Thursday, December 17, 2015

L'arte della lamentela



Mentre nuotavo, questa mattina, mi partivano come starnuti lettere e monologhi di lamentele.

Una bracciata.
"Gentile Bethany, grazie della email. Dopo il nostro incontro al volo, che non era stato pianificato, mi aspettavo di ricevere delle informazioni extra via email, non soltanto il riassunto di quello che ci siamo dette. Io e Richard, sopratutto mio marito, avevamo il desiderio di organizzare un pranzo al club dopo il battesimo, da quando ho ricevuto la sua email ho cambiato idea. Probabilmente a causa della sua email non avete soltanto perso dei clienti per un evento, ma anche due membri del club. Le spiego brevemente il perché..."
Dorso.
"Caro socio, dopo avere sollecitato la cosa diverse volte, ora inizio a spazientirmi. Quando prenoti questo benedetto volo? Come posso fidarmi delle tempistiche che mi dai sulle consegne quando tu non sei riuscito ancora a venire per fare un paio di firme?..."
Respiro.
"Caro dentista perché continui a fissarmi appuntamenti per controlli a 30 sterline? Se voglio un controllo ti chiamo io."
Bracciata.
"Cara mamma del parco, la tua povera bambina dici che è confusa, perché non è abituata a sentire due lingue e mi guardi con quella faccia da pesce lesso. Quando ti sveglierai ed uscirai da quell'involucro di mediocrità che ti avvolge e ti soffoca? Mai? Me lo aspettavo."
Stile.
"Gentile signora del negozio di scarpe del mio paese, avrei voluto compare un articolo da lei, anziché
andare su internet o in una città più grande, ma mi è parso di capire che le piace atteggiarsi a snob e
che non ha bisogno di vendere scarpe a nessuno, tantomeno di mettersi a cercare se ha dei numeri diversi in magazzino. Inoltre ha voluto precisare che le scarpe migliori per bambini sono tedesche e non italiane. Ecco, allora se le tenga strette. Non mi vedrà mai più."
Bracciata.
"Cosa intende esattamente quando mi dice che per politica aziendale non accettate queste telefonate? I fornitori non li cambiate mai? È questa la vostra strategia?..."
Pausa.
Tra l'altro sono una pessima nuotatrice.

Quando mi sveglio male, il metodo migliore per tornare in equilibrio è quello di fare attività fisica e di mandare lamentele scritte fittiziamente mentre con il corpo mi affatico, il che mi ricorda Moses, protagonista di "Herzog", di Saul Bellow. Personaggio meraviglioso.
Me lo ricorda, ma non mi paragono nemmeno lontanamente, sia ben chiaro.
Le lamentele di Herzog sono sublimi, le mie sono...lamentele.

Moses è un epistolomane che della lamentela scritta fa un'arte.
"Io vado alla ricerca della verità con il linguaggio. Forse vorrei cambiarla tutta con il linguaggio..." "Si vede che sto cercando di mantenere in vita quelle tensioni senza le quali gli esseri umani non si chiamano più umani. Se non soffrono, significa che mi sono scappati di mano. E io ho riempito il mondo di lettere per evitare la loro fuga."
Moses scrive a destra e a manca, dapprima scrive missive alla ex moglie, poi passa al suo amante, poi a parenti ed amici, infine ai giornali e a grandi figure del presente e del passato, così cerca di risolvere il suo dramma esistenziale.
"Cara mamma, sul perché non sia venuto a visitare la tua tomba per tanto tempo...Caro dottor Edvig, il fatto è che anche la pazzia mi è stata negata...Gentile signor presidente degli Stati Uniti, queste assurde norme per la denuncia fiscale ci faranno diventare un popolo di ragionieri. La vita di ogni
cittadino sta diventando un problema contabile...caro doktor professor Heidgger, vorrei sapere cosa
intende con "caduta nel quotidiano"...."


Friday, November 27, 2015

Il Rumore Bianco di Facebook



Un sondaggio elenca quali sono le tipologie di commenti più fastidiosi su Facebook. Quei commenti che ti fanno venire voglia di togliere l'amicizia alla gente o quantomeno di "nascondere" tutto quello che scrivono.

Le categorie citate pressappoco sono queste, aggiungo in coda un paio di altri gruppi di commentatori:

- I lamentoni. In testa ci sono quelli che si lamentano del tempo, della politica, dei vicini, del lavoro, della loro città, di quelli che postano certe cose sui social e di come va il mondo. Spesso sono anche nostalgici, ma poco poetici.
- Quelli che riportano la perdita di peso. Particolarmente fastidiosi sono quelli che ripetutamente scrivono della loro dieta, che vogliono informare tutti di quanti chili hanno perso. Credo sia una pratica particolarmente anglosassone, in particolare si tratta di quelli che seguono il programma di "slimming world".
- Gli sportivi. Che si dividono in due sottocategorie: i palestrati e i maratoneti. I palestrati postano foto degli esercizi e selfie tra i pesi, oppure semplicemente ci tengono aggiornati su quante volte vanno al loro tempio del corpo e su che tipo di colazione hanno fatto. I maratoneti, spesso intorno ai quaranta, lo diventano per superare la crisi di mezza età. Ci aggiornano sulla città in cui sono, ma anziché postare foto del luogo, ci mostrano soltanto i loro corpi affaticati avvolti in tutine lucide, le loro espressioni di sofferenza ed il loro sudore, simbolo di un corpo che funziona ancora, che sfida la morte.
- Le neo mamme. Non avevo dubbi, ci sono dentro fino al collo: sono fastidiosa. Pure io posto foto del mio pupo e dei suoi progressi. Un paio di foto fanno piacere, ma quando si iniziano a postare quelle foto che per gli altri sono tutte uguali oppure a documentare ogni singolo progresso, dal gattonare all'uso del cucchiao, ecco si diventa fastidiosi.
- Quelli che fingendo di lamentarsi ci ricordano quanto sono più fortunati di noi. Esempio: "Non ho assolutamente voglia di fare le valigie! Domani New York."

Aggiungo:
- Quelli che postano foto di gatti o cuccioli di animali. Continuamente.
- Quelli che scrivono dei maltrattamenti degli animali e che ciclicamente ripetono che i quattro zampe sono migliori dell'uomo.
- Quelli che postano di inverosimili teorie complottiste. Dalle torri gemelle, allo sbarco sulla luna, per loro siamo in un Truman Show, tutti mentono. Sintomi iniziali di chi soffre di manie di persecuzione. Quasi sempre si tratta di consumatori di cannabis.
- La classica foto dei piedi con sfondo mare o di un portafortuna, amuleto o semplicemente un oggetto casuale  che viene posizionato per personalizzare luoghi che altrimenti sarebbero già visti (tipo Torre di Pisa) o panorami generici.

Ecco, queste sono le categorie più fastidiose.
Le altre categorie non sono piacevoli, sono soltanto meno fastidiose.

Cosa leggiamo volentieri quindi su Facebook?
A quanto pare quasi nulla. O meglio leggiamo tutto, per poi lamentarci di quanto sia inutile, irritante o semplicemente noioso quello che scrive la gente.

Un pò come quando si trovano certi amici e conoscenti.
I più apprezzati sono quelli che ti conoscono, che ti ascoltano e che quindi ti danni un consiglio mirato o ti raccontano di un episodio che in quel momento della tua vita potrebbe essere particolarmente significativo.

Il punto è: nessuno ascolta su Facebook. Tutti vogliono essere ascoltati.
Infatti il momento più apprezzato è quello in cui qualcuno commenta quello che abbiamo scritto.
Unica forma possibile di ascolto attivo.

Tutto il resto è rumore di sottofondo.
Una nuova forma di rumore bianco, non monocorde, ma bianco.





Wednesday, November 11, 2015

Piacere misofonia, lieta di averti scoperta.



Sono estatica.

La mia nevrosi ha un nome, una spiegazione e pare addirittura che sia connessa ad una spiccata creatività.
Quindi non sono l'unica a soffrirne.
Potremmo trovarci in un gruppo e discuterne.
Come gli alcolisti anonimi.
Organizzare un gruppo su Facebook, fare terapia, andare in vacanza insieme.
Va bene, non ci allarghiamo.

Comunque non sono sola.
Mi sento meglio.

La misofonia, patologia raramente diagnosticata, è un ipersensibilità ad alcuni rumori, in particolare si tratta di un fastidio che le persone affette provano quando sentono qualcuno che mastica o beve rumorosamente.
Si manifesta tra l'infanzia e l'adolescenza nel 91% dei casi. Addirittura pare sia ereditario.

Ciliegina sulla torta: le persone affette da misofonia sottoposte ad un test sulla creatività hanno ottenuto punteggi più alti.

Interessante e totalmente combaciante con la mia nevrosi il fatto che il paziente non si adira mai se a produrre il rumore è un bimbo o un animale. Il che mi rende anche umanamente accettabile.
Addirittura ipersensibile.

Mi sono spesso sentita in colpa per aver trasformato in un inferno l'esperienza masticatoria di alcune delle persone a me più vicine e care.
Dall'adolescenza certi rumori, rigurgiti, vagiti, sbrodolamenti e versi risucchianti, uniti al tirar su con il naso d'inverno, mi hanno perforato il cervello, martellato lo stomaco, fatto immaginare di commettere crimini inimmaginabili ed irripetibili, che prendevano atto nel mio cervello come palliativo per contenere quella che potrei soltanto descrivere come incombente pazzia.

Oppure potevo adottare il rimedio migliore, ma non sempre accettato dal masticatore: l'imitazione.

E cosa leggo nell'articolo sulla misoginia?
Che l'unico modo di alleviare il fastidio penetrante per gli affetti dalla nevrosi sia quello di imitare il suono.

La riproduzione del verso per me è sempre stata la soluzione migliore e più veloce, se nella stanza si trova una televisione o è in corso una accesa conversazione gioisco perché posso riprodurre il suono incrementando il volume.
Un momento catartico.






Wednesday, September 23, 2015

Accento italiano

Potrei vivere in Inghilterra per altri cinque, dieci, venti anni, un dettaglio resterà comunque inalterato: l'accento italiano.
Tutto nacque il giorno in cui notai che tutti gli italiani che cercavano di imparare la lingua inglese imitandone l'accento suonavano ridicoli e pretenziosi. Sopratutto se si trattava di principianti.
Decisi di non voler divenire oggetto di scherno.
Avrei imparato i vocaboli e la pronuncia della lingua, ma avrei mantenuto l'accento italiano.

Anni dopo diverse vacanze studio in territorio anglosassone mi portarono a rinforzare la decisione.
Gli abitanti del luogo, sopratutto di sesso maschile, adoravano l'accento italiano: un successone.

Eccomi qui, vent'anni dopo.
Residente in terra d'Albione da cinque anni e giornalmente sottoposta a domande sulla mia provenienza non appena apro bocca.

Soltanto che quando parlo velocemente l'accento è così pronunciato che a volte gli autoctoni mi chiedono di ripetere le parole in inglese. 
Parlo velocemente perché penso sempre di annoiare la gente.
Inoltre, come in italiano, non finisco le parole e le frasi.

Recentemente ho avuto una rivelazione: si trattava di una mia paranoia. 
Gli inglesi ripetono le stesse cose all'infinito, sopratutto dopo un paio di bicchieri, e le parole che mi escono di bocca sono, se non interessanti, per lo meno divertenti.

Ecco, il segreto sta nel rallentare quando parlo, nel pesare ogni parola, respirare per bene.
Niente a che fare con l'accento.
E poi mi sembra di perdere un pezzo di identità.

Quindi non mi smuovo, mi tengo l'accento.



Tuesday, September 22, 2015

"Ho portato sulle spalle mio padre", Armando Minuz


 


"Ho portato sulle spalle mio padre" è un'opera di Armando Minuz, un mio ex collega.
     Conoscendolo un poco mi aspettavo un romanzo coinvolgente, astuto, ben scritto e minuziosamente architettato. Si è rivelato meglio di quello che mi ero prefigurata.

     Una storia che esplora il rapporto tra padre e figlio. Una saga mitologica moderna.
     È un racconto molto maschile: si narra di temerari cacciatori, lupi di montagna di poche parole, sempre a contatto con la natura, che incapaci di esprimere forti sentimenti a parole a volte si sfogano a pugni. La presenza femminile è solo abbozzata, anche se avvolge le figure maschili come una nebbia, una grande madre che aleggia nella aria, nel bosco, quasi divinizzata.
    Ho scritto ad Armando chiedendogli come gli era venuta l'ispirazione e cosa pensava di alcune recensioni. Era da tanto che voleva scrivere un libro, mi ha risposto, e la figura di Leone, montanaro e cacciatore che intaglia il legno, gli è apparsa chiaramente. Tutto il resto lo ha costruito intorno a quell'immagine. Con risultati entusiasmanti, aggiungo io.
     Ognuno legge ed interpreta i libri modo proprio. Armando mi fa notare che tra presentazioni, incontri e critiche è stato entusiasmante ricevere nuovi punti di vista dai lettori.
     Pare che il secondo romanzo sia quasi pronto.

  "Quella notte lo visitò in sogno suo padre..."
     "Suo padre era nella grotta con lui, in piedi e immobile, e teneva in mano una torcia splendente di   luce azzurra, come un fuoco fatuo, in grado però di riscaldare quel cunicolo freddo e umido..."
     "Poi sedettero intorno al fuoco. Consci di esistere in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio parlarono a lungo con le voci appena incrinate dalla nostalgia, guardandosi negli occhi e talvolta ammirando il fuoco azzurro incandescente, restando in silenzio e soltanto osservando la fiamma..."
     "Parlarono finché la luce dell'alba non irruppe con violenza inattesa nel cunicolo. Allora Lando sollevò gli occhi dal fuoco in direzione del padre e vide che davanti a lui non c'era nessuno..."
     "Per la prima volta dopo anni ebbe paura, credette davvero che le pietre verdi del camposanto contenessero una maledizione. Non si sarebbe dovuto addormentare in quel luogo, si disse ad alta voce, avvertendo un dolore atavico e primitivo nelle parole che scalfivano il silenzio irreale della cava.
      Confuso, sentendosi ancora stanchissimo, rimase a fissare per un tempo indefinibile quell'alba sempre più bianca che proveniva dall'uscita rabbrividendo.
     "Padre", disse Lando. E ripetè quella parola più volte, guardando la roccia davanti a sé.
     Gli sembrò che il mondo accelerasse la propria rotazione, vide la luce divenire abbagliante in pochi minuti e fu giorno fatto.
     Continuò a parlare a sé stesso, incapace di ritrovarsi. Perse il senso del tempo e dello spazio e si mosse libero, inerpicandosi lungo gli assiomi, le teorie, le congetture figlie di quella notte, notte madre di visioni e lemuri, discendendo poi lungo i pendii e le ripide valli dell'incoerenza, sentendo il
panico montare come marea e attanagliargli piano lo stomaco come una morsa morbida, poi sempre più dura e serrata, soffocante. Parlò a sé stesso e al fantasma assente di suo padre e al fuoco e ai graffiti che egli stesso aveva disegnato decenni, forse secoli fa, passandosi le mani agitate e callose sul cranio, tappandosi gli occhi con i palmi aperti e scorgendo smaglianti galassie in rotazione in quel buio artificiale e antiche rovine in cui riposavano tutti i morti del mondo. Vide le fredde case dei morti, che sempre attendono il vivo, e dunque pregò e poi bestemmiò Dio e gli uomini, urlando o pregando o salmodiando in un sospiro, finché la luce dell'ingresso si oscurò. Lando levò lo sguardo, vide che nel chiarore abbacinante del giorno si stagliava una figura alta e scura.
     La figura si fece avanti e Lando sbarrò gli occhi, incredulo. Sulla soglia c'era suo padre, giovane come lo aveva sognato quella notte. La schiena dritta, indomita, e la carabina in spalla lo facevano sembrare un giovane partigiano risorto.
     "Padre", disse Lando cercando di alzarsi...
     "Padre riaccendi il fuoco", disse .
     "Papà, andiamo a casa, ti prego. Ti riporto a casa, se me lo lasci fare.".
     Leone vide che il padre si era morso le labbra a sangue, mentre sul viso e sul cranio e sulle braccia aveva la terra e il verde della pietra, e graffi e tagli e lividi.
     Lando si alzò con fatica e affidò meccanicamente le mani trepidanti a quelle del figlio. Leone prese quelle mani e se le portò intorno al collo. Sentì finalmente ciò che desiderava da tempo e di cui conservava solo un debole ricordo, si abbandonò grato in quel l'abbraccio che suo padre gli regalava. Poi sentì suo padre chiamarlo con il nome di suo nonno."


Tuesday, September 01, 2015

I bambini annegati



Ho postato su Facebook le foto dei bambini annegati sulle rive del Mediterraneo e non sono convinta di aver fatto la cosa giusta.
Invidio quelli che hanno preso una posizione e l'hanno mantenuta.

Il 28 agosto, venerdì sera, sono tornata da una cena con mio marito, era il nostro anniversario, cinque anni di matrimonio.
Stavo allattando il mio bambino di 17 mesi e al contempo stavo spiando le vite degli altri su Facebook come spesso faccio, stavo quasi per postare una foto del nostro matrimonio per annotare l'anniversario, come fanno in molti.
Ad un tratto delle immagini terremoto hanno scosso il villaggio sereno di Facebook, fatto di foto di tramonti, selfie vacanziere e bimbi che crescono (anche le mie intendiamoci), ogni tanto succede, ma questa volta mi è arrivato un pugno.
Bambini annegati, spiaggiati, mezzi svestiti, lavati dal mare, morti. Morti annegati.
I migranti. Quelli di cui sentiamo parlare tutti i giorni.

Questa volta foto. Di cadaveri. Di bambini.

Mi sono trovata a dover decidere, come molti, se condividere quelle foto o meno.
Una scelta che di solito spetta alle redazioni. Pare che solo il Fatto le abbia pubblicate.
Le ho condivise.
Hanno visitato i miei incubi.

Perchè l'ho fatto?
Perché ho sentito la gravità e l'urgenza di un fatto tremendo irrisolto dai governi.
Perché sono nauseata dai commenti razzisti e dalle notizie populiste.

La metà dei miei amici sono inglesi, abito in Inghilterra, per cui il giorno seguente sono arrivati dei commenti molto cortesi e velatamente diretti a me. Un paio di persone soltanto.
Dicevano di non voler vedere quelle foto, di essere al corrente degli eventi e di non voler vedere quelle foto di morte.
Ho cancellato le foto.

Poi me ne sono pentita.
Il voyeurismo della morte esiste, esiste perché non sappiamo gestire il nostro rapporto con la morte.
Il problema è quello che sta accadendo, non sono le foto.
Le ho postate perché ho pensato che qualcuno che scrive commenti di una superficialità preoccupante o che insulta i migranti come se fossero una unica persona nemica potesse fermarsi a pensare.

Poi ho pensato ancora che forse ho urtato la sensibilità di chi al problema pensa comunque e lasciato comunque indifferenti quelli che pensano che i rifugiati siano soltanto dei delinquenti che arrivano in Italia per scroccare delle notti in albergo e andare a svaligiare un paio di appartamenti.
Per questo le ho cancellate.

Non avrei mai postato delle foto di un evento isolato.
Queste però erano un urlo.

Le ho cancellate perché quei volti mi perseguitavano. Perché ho pensato che i loro genitori siano morti o morti viventi senza la possibilità di scegliere se far pubblicare le foto dei loro bambini o meno.
E continuo ad invidiare chi ha le idee chiare, chi non vede in tutto questo una relatività della morale che ci lascia impotenti.










Wednesday, August 26, 2015

"Chiedi alla Polvere", John Fante



"Apparve una ragazza. Indossava un vecchio soprabito verde e il suo viso era incorniciato da un foulard verde legato sotto il mento. Sulla scalinata era fermo Bandini.
     - Salve, tesoro, - disse lei, sorridendo, come se Bandini fosse stato suo marito o il suo amante. Poi salì il primo gradino ed alzò gli occhi a guardarlo.
     - Ehi, che ne dici? Vuoi spassartela con me?
Audace amante Bandini, coraggioso e spavaldo.
     - No, - le rispose - No, grazie. Un'altra sera. -
Si allontanò in tutta fretta, lasciandola lì a guardarlo e a tirargli dietro delle parole che non afferrò. Proseguì per mezzo isolato, contento. Almeno gliel'aveva chiesto. Aveva capito che era un uomo. Dalla gioia si mise a fischiettare. Girare per la città: quello sì che era un modo per fare esperienza. Noto scrittore parla della notte con una donna di strada. Arturo Bandini, famoso scrittore, rivela i suoi rapporti con una prostituta di Los Angeles. I critici gridano al capolavoro.
Bandini, intervistato prima della sua partenza per la Svezia dichiara: - Ho un consiglio molto semplice da dare a tutti i giovani scrittori. Non tiratevi mai indietro di fronte ad una nuova esperienza. Vivete la vita fino in fondo, prendetela di petto, non lasciatevi sfuggire nulla. -
     Intervistatore: - Signor Bandini, cosa l'ha spinta a scrivere questo libro che le ha fruttato il Nobel?
     Bandini: - Il libro si basa su un fatto accadutomi una notte, a Los Angeles. Ogni parola corrisponde a verità. Questo libro l'ho vissuto interamente, pagina per pagina. -
Bastava così. Ormai era tutto chiaro. Mi girai e tornai verso la chiesa. La nebbia era impenetrabile. La ragazza se n'era andata..."

Friday, August 21, 2015

Il rito del pollo

Negli anni '50 mia nonna al sabato comprava un pollo, mia madre era bambina.
"A me toccava l'ala ed è ancora oggi la mia parte preferita" dice mia mamma.
"Ti davano solo l'ala?" chiedo io.
"Con un po' di carne attaccata."

Mia nonna il sabato comprava un pollo al mercato di Valenza.
Un pollo vivo.

Posizonava un piattino pieno di pangrattato sotto al collo del malcapitato e poi lo sgozzava, il sangue colava nel piattino e creava parte dell'impasto per le polpette di sangue.
Le polpette di sangue erano la cena del sabato.
Il giorno successivo, la domenica, si mangiava il risotto con fegatini di pollo e zafferano a pranzo e mezzo pollo arrosto a cena.
Il lunedì minestrina in brodo di pollo.

La domenica a cena il mezzo pollo veniva diviso tra: mia mamma, mio nonno, mia nonna e la bisnonna. La bisnonna oltre ad avere la parte migliore aveva il privilegio di assumere il cervello dell'animale che schiacciava con lo schiaccianoci.
Una sorta di ritrovo tribale, un rito che riconfermava le posizioni gerarchiche all'interno della famiglia. Alla mia povera nonna che cucinava e lavorava più di tutti quanti spettavano gli avanzi.

Esistono teorie contrastanti sull'effetto dell'assunzione di carne nella nostra alimentazione, tutti però concordano nell'affermare che ne consumiamo troppa. E che sopratutto quella rossa non fa bene.
Credo abbia un effetto sul nostro corpo anche il fatto che la carne che mangiamo oggi raramente derivi da un animale che abbia trascorso una vita felice.
Per vita felice intendo: all'aperto, mangiando gli alimenti che lo attirano naturalmente, nella giusta
quantità e scorrazzando.
Io mangio mezzo pollo da sola, o quasi. Eccesso e scarto al gatto.

La mancanza di possibilità economiche regolava l'assunzione di carne della maggior parte delle famiglie negli anni '50. Anche il chilometro zero non era una tendenza della moda alimentare, ma quello che succedeva. Il Kiwi al mercato non c'era e basta, per non parlare dell'avocado.

Troveremo un equilibrio tra gli orti nel centro di Milano e i polli allevati in batteria, tra i ristoranti che offrono cibo chilometro zero e quelli che alle Barbados offrono le ostriche inglesi?
È necessario?
Si stava meglio quando si stava peggio?
No.







Thursday, August 06, 2015

"Un Uomo Sentimentale" Javier Marias




Ho letto per la seconda volta "Un uomo sentimentale" di Marias.
Questo uomo è il re delle subordinate: le inserisce una dopo l'altra, e come strati di una torta nuziale gigantesca vanno a comporre periodi sublimi, stratosferici.
Ho aggiunto nuziale per sviare, ma la grossolana analogia con la torta nasce dal fatto che oggi è il mio compleanno. Tanti auguri a me.
Ecco un esempio della sua capacità di introspezione dell'amico umano e della sua abilità tecnica. Inchiniamoci.

"Non so perché la memoria selettiva dei sogni sia tanto diversa da quella di nostri sensi vegli, perché non posso credere a quelle spiegazioni inesorabili secondo le quali affiora nei primi, sotto diversi mascheramenti, ciò che i secondi sopprimono. C'è in quella convinzione un elemento che mi sembra eccessivamente religioso, una vaga idea di espiazione in cui non posso fare a meno di immaginare la traccia di cose come la coscienza del male, gli uditi sordi, l'oppressione dei giusti, la disputa tra opposti, la verità che aspetta la propria rivelazione e il concetto secondo cui esiste una parte di noi che è in contatto più diretto con le divinità di quanto non lo sia il nostro discernimento. E perciò propendo di più a pensare che le ostinate sospensioni del tempo nei sogni siano educati, convenzionali modi di tirare il respiro di carattere drammatico o narrativo o ritmico, come la fine di un capitolo o gli intermezzi, come la sigaretta che si fuma dopo la colazione, i minuti che si dedica non a sfogliar il giornale prima dell'inizio delle attività, la pausa che precede la lettura di una lettera temuta o l'ultima occhiata allo specchio prima di uscire la sera. O forse sono dovuti al dubbio, perché la verità sognata e il ragionamento sognato non sempre scorrono così risolutamente com'è loro fama. Vi è in alcuni sogni, come alla luce del giorno, esitazione, arretramento, rettificazione e tempi morti. A volte bisogna addirittura prendere tempo per indirizzarli, cioè, ingannare quei tempi deliberatamente. Non sono troppo lontano dal condividere le credenze di alcuni antichi, e, come loro, oltre che premonizioni e avvisi che diamo  noi stessi vedo nei sogni intuizioni e spiegazioni che non contrastano con la coscienza desta, commenti espliciti - per quanto possano essere metaforici: non c'è contraddizione in questo - sul mondo, sullo stesso e unico mondo che accoglie il giorno, per quanto estranea ci possa apparire al mattino la sfera notturna...""Ho letto una volta in un libro di un tedesco che le persone che non fanno colazione desiderano evitare il contatto del giorno e non entrare in esso, perché in realtà è soltanto attraverso il secondo risveglio, quello dello stomaco, che si riesce a venir fuori del tutto dalla penombra e dalla sfera notturna, ed è soltanto dopo che si è arrivati sani e salvi all'altra sponda che ci si può permettere di riferire quel che si è sognato senza che ciò porti calamità con sé, dato che, se lo si racconta a digiuno, ci si trova ancora sotto il dominio del sogno e lo si tradisce con le proprie parole, esponendosi così alla sua vendetta...
 Quest'idea dalle radici inconfondibilmente popolari nasconde, allo stesso modo di quelle che usano gli psichiatri, gli psicologi, gli psicoterapeuti e gli altri usurpatori della parola psiche, un disprezzo infinito nei confronti del sogno sotto la ,oro pretesa di prenderlo molto sul serio, in quanto muove dall'idea di base che esistano due mondi separati, quello del sonno e quello della veglia, o, ed è ancora peggio, due mondi ostili, contrari, diffidenti l'uno dell'altro, pronti a nascondersi le loro ricchezze e le loro conoscenze e a non condividerle né a riunirle se non dopo la presa violenta, la conversione forzata, l'interpretazione che invade uno dei territori, con la particolarità che l'unico che soffre quest'ansia di sottomissione, l'unico che consegue quell'animo di conquista, è il campo diurno. Ma ciò che mi accingevo a confessare è che, non accettando simile idea, ho deciso, non si sa mai, di non fare colazione questa mattina, nella speranza di poter raccontare entrambe le cose, quel che è accaduto ed il sogno di quel che è accaduto, dato per acquisito di non poterle distinguere. Perciò non ho ancora mangiato, e staremo a vedere quando lo farò."